Il belga Delvaux è regista colto e misurato: tanto che la sua corrispondenza con la grande scrittrice Marguerite Yourcenar passa per essere palestra di squisite sottigliezze.Se il suo L'OEUVRE AU NOIR incute rispetto più che emozione, non è perché il testo letterario originale sia intraducibile in immagini. Piuttosto, perché adattare un romanzo significa sbarazzarsi di molte cose, per non ritenerne che alcune. Delvaux illustra la cultura con la Cultura: i canali di Bruges, gli interni del 500, gli oggetti dell'alchimista Zenone sono visti con l'occhio di Bosch o di Ruysdael, illuminati dalle candele di de la Tour. L'aspetto è magnifico, ma l'itinerario umanistico, l'iniziazione alla conoscenza del romanzo rimangono nelle pieghe del dialogo sapiente.
Gianmaria Volontè ci mette la sua solita maschera sofferta, la sola che traduca le contraddizioni fra le cose dello spirito e quelle della materia.
Ma Giovanna d'Arco è dietro l'angolo, e l'Accademia più vicina ancora.